LA VERA STORIA DEL GWCI 1989 - GOLD WING CLUB ITALIA a cura di Ernesto TRAZZI Socio fondatore
Tratto dal Gold Rider n. 4 Luglio/Agosto 1999 (con alcuni adattamenti da parte dell’autore)
Recentemente, mentre stavo riordinando alcuni cassetti pieni di quelle cianfrusaglie che si portano a casa dai viaggi e dai raduni, mi è capitata tra le mani una piccola rubrica nera risalente ad alcuni anni fa che riportava l’elenco degli iscritti al Gold Wing Club Italia a quella data.
Incuriosito ho cominciato a sfogliarla e con un certo stupore mi sono reso conto che, pur essendo stato uno dei protagonisti della nascita del club, delle centinaia di iscritti ne conosco solo alcune decine mentre una volta li conoscevo praticamente tutti.
Ciò dipende dal fatto che la mia partecipazione ai raduni di carattere locale e alle strutture organizzative del club, tranne alcuni periodi come vice presidente e consigliere, è sempre stata molto limitata avendo sempre riservato il tempo libero a viaggi e raduni all’estero e, soprattutto, all’enorme sviluppo del club che è passato dalle poche decine di iscritti dei primi anni alle centinaia attuali, con un turn over molto spinto che fatto si che del nucleo originario dei 30/40 soci, oggi ne siano rimasti veramente pochi, da poterli contare sulle dita di una mano. Questo cambio generazionale, è indubbiamente molto positivo in quanto evidenzia una notevole dinamicità, d’altro canto determina una conoscenza vaga da parte dei soci di recente iscrizione della storia del nostro club.
Infatti spesso mi è capitato di sentire e di leggere affermazioni quanto meno fantasiose sulle origini del GWCI. Ritengo invece che la storia di un club che ha ormai 20 anni di vita e che coinvolge circa 800 soci iscritti debba essere conosciuta da tutti i soci per evitare equivoci.
Introdotta in Italia nelle seconda metà degli anni 70 la Goldwing 1000 non ebbe successo e la sua diffusione fu molto limitata proprio presso quella fascia di potenziali clienti, i motociclisti amanti delle lunghe distanze, per i quali era stata concepita.
Infatti mentre negli USA furono apprezzati i lati positivi di questa moto quali lo schema tecnico innovativo (quattro cilindri boxer raffreddato a liquido con trasmissione finale ad albero) e il confort di marcia (scarse vibrazioni e silenziosità) in Italia, invece risaltarono soprattutto i lati negativi quali gli elevati costi d’acquisto e di gestione, l’autonomia limitata, peso notevole e scarsa maneggevolezza, freni e tenuta di strana non impeccabili.
Questa disparità di valutazione era chiaramente influenzata dalle diversità ambientali con cui dovevano confrontarsi i motociclisti americani - strada larghe e prevalentemente pianeggianti, lunghi rettilinei, traffico scorrevole, rigidi limiti di velocità - e italiani - strade strette e intasate di veicoli, prevalenza di percorsi misti, assenza di rigidi limiti di velocità, costo elevato del carburante e dei pedaggi autostradali; inoltre i motociclisti nostrani quando uscivano dai confini nazionali dovevano fare i conti con una viabilità che a livello europeo lasciava molto a desiderare, infatti gli unici paesi dotati di reti autostradali erano l’Italia e la Germania Ovest. In Francia e in Inghilterra esistevano solo dei brevi tratti autostradali e le statali erano con fondo irregolare, pericoloso in caso di pioggia e di guida notturna, per non parlare della Spagna, del Portogallo e della Grecia con strade veramente indecenti
Un capitolo a parte erano i paesi dell’Est dove anche le terribili condizioni delle strade contribuivano a fare di ogni viaggio oltre cortina un’avventura.
Valicare le Alpi in Svizzera e in Austria, dove non erano ancora stati approntati i tunnel e le autostrade, non era così agevole come oggi, basti pensare che per andare a Basilea o Zurigo da Milano bisognava valicare il passo del S. Gottardo o in alternativa il S. Bernardino.
In questo panorama le regine incontrastate delle moto gran turismo erano le bicilindriche Guzzi e BMW, di peso contenuto e maneggevoli, dotate di ottima tenuta di strada e buon sistema di frenata con una notevole autonomia grazie ai bassi consumi, particolarmente adatte ai lunghi viaggi su percorsi misti e con fondi stradali irregolari.
Altri fattori che giocarono a sfavore della Gold Wing furono l’immagine di moto sportive delle super prestazioni che connotavano a quell’epoca le moto giapponesi e la scarsa efficienza della rete di assistenza Honda, che rendeva difficile reperire anche i più banali pezzi di ricambio (problema inesistente per Guzzi e BMW).
Bisogna poi considerare che la Guzzi SP e la BMW RS o RT erano carenate di serie e con la semplice applicazione delle borse Krauser erano già pronte per i viaggi, mentre la GL 1000 era nuda e, a differenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra dove erano facilmente reperibili carenature e kit di borse e bauletto perfettamente adattabili a questa moto, come ad esempio le Vetter, in Italia non era disponibile nessun accessorio specifico.
All’inizio degli anni ottanta in Europa cominciò a farsi notare la Gold Wing Gl100 carenata, con borse e baule, sellone a due piani e frizione idraulica, che rappresentava un netto superamento della vecchia 1000 abbinando alle peculiarità tecniche del propulsore un equipaggiamento da super tourer.
Il mio amico Gianni Barbieri, da sempre Bmwista, al ritorno da un coast to coast negli USA, entusiasta di questa moto che aveva visto viaggiare sulle interstate ne acquistò una nell’autunno dell’81 e io, da sempre Guzzista, lo seguii in questa scelta pochi mesi dopo; dopo l’Elefantentreffen a cui partecipai con la moto vecchia (prudentemente).
In poco tempo apprezzammo i lati positivi del mezzo, quali la morbidezza della frizione e della trasmissione ad albero, la carenatura protettiva, la sella comoda, la scarsità di vibrazioni, la silenziosità, l’affidabilità della meccanica (partecipammo anche a delle competizioni stradali a coppie di 24 ore, contemporaneamente toccammo con mano anche i lati negativi: la scarsa maneggevolezza dovuto al peso elevato e alla notevole massa, l’allungamento degli spazi di frenata e i consumi elevati che riducevano l’autonomia.
Tutto questo ci costrinse a modificare drasticamente lo stile di guida per renderlo più consono alle caratteristiche della moto, in altre parole imparammo ad andare più piano.
Anche la diffusione di questo modello fu limitata in occasione dei più importanti raduni FMI non era difficile incontrare altre Goldwing.
La GL1100 era una moto che si distingueva dalle altre e presso le folle suscitava ammirazione per la sua imponenza ed eleganza, mentre presso gli altri motociclisti spesso provocava commenti e battute ironiche tipo: “è una 1100 che costa come una 1600, va come una 750 e consuma come un 2000” evidenziando un rapporto difficile tra la Goldwing e i motociclisti nostrani caratterizzato da un misto di amore e odio e di “vorrei ma non posso”.
Questa moto così diversa smitizzava anche certi luoghi comuni come i moscerini spiaccicati sulla parte anteriore del barbour e gli elastici con i famigerati ganci metallici sul portapacchi che identificavano i “duri e puri” fedelissimi delle vibrazioni, delle perdite d’olio, delle lampadine bruciate, delle frizioni dure e dei cardani rigidi.
Il 4 settembre 1982, io e Gianni Barbieri, appena tornati da due lunghi viaggi effettuati nel mese di agosto in sella alle nostre GL 1100, ci recammo al raduno internazionale FMI di Spinea dove conoscemmo altri due possessori di questo modello di moto, i fratelli Giorgio e Paolo Barbieri di Bologna (solo omonimi di Gianni) che ci mostrarono un volantino ciclostilato avuto da un belga, anch’esso su GW, che presentava un raduno internazionale riservato ai possessori di GW che si sarebbe svolto il successivo week-end a Le Pouyloubier, un paesino della Provenza vicino a Ste Maximine, organizzato non dal solito moto club affiliato alla federazione motociclistica, ma da uno sconosciuto Gold Driver Club de France.
La cosa ci sorprese perché, nonostante da molti anni partecipassimo ai più importanti raduni in Europa, non avevamo mai sentito parlare di raduni riservati ai possessori di Goldwing, ma nello stesso tempo ci incuriosì in modo tale da decidere di partecipare.
Il giovedì successivo partimmo da Milano e dopo una veloce tirata in autostrada arrivammo a destinazione dove incontrammo Paolo Barbieri e insieme cominciammo a fare conoscenza con lo sconosciuto mondo Goldwing.
L’impatto fu entusiasmante perché, per la prima volta, si potevano vedere in un colpo solo circa duecento GW, quanti se ne sarebbero visti in 5 anni in Italia, e le moto, provenienti dai vari paesi europei, che avrebbero dovuto essere uguali tra di loro, in realtà erano tutte diverse perché personalizzate secondo i gusti dell’epoca: i 1000 erano tutti carenati e dotati di borse e bauletti prevalentemente di provenienza Harley Davidson, arricchiti con accessori cromati, fari e fanalini di vari colori, pedane supplementari, portalattine appesi al manubrio ed altri ammennicoli tipo selle in cuoio riccamente intarsiate, poggiaschiena, autoradio, CB con relativi altoparlanti e antenne.
Spesso il risultato di questi assemblaggi era discutibile sul piano del buon gusto mentre i 1100, potendo contare su una base esteticamente più armoniosa, anch’essi riccamente dotati di pezzi cromati e lampadine varie, generalmente erano più belli, soprattutto alcuni dipinti con soggetti spaziali o western.
Le nostre moto, strettamente di serie, con l’unica aggiunta della radio mangianastri e relativa antenna, in questo contesto sembravano delle moto diverse, quasi cecoslovacche, e allora, suggestionati dall’ambiente, acquistammo anche noi dei pezzi cromati approfittando della presenza dei soliti banchetti che poi nel corso degli anni avremmo sempre ritrovato a tutti i raduni.
Passammo il venerdì a fotografare le moto, alcune erano dotate di sidecar, altre di rimorchio, e a fare conoscenza con i convenuti contemporaneamente sorpresi e contenti di vedere per la prima volta degli italiani a un raduno Goldwing.
Ci raccontarono che in molti paesi del centro nord Europa ormai da qualche anno erano attivi dei Gold Wing Club nazionali che organizzavano dei raduni riservati ai possessori GW secondo un calendario che prevedeva un raduno all’anno in ogni paese dove esisteva un Gold Wing Club.
Il giorno seguente, sabato, partimmo in gruppo per la “grande balade” che, attraversando l’entroterra di Tolone, ci portò al circuito “Paul Ricard” al Castellet dov’era in programma il Bol d’Or.
In quegli anni le gare di endurance entusiasmavano così come oggi le gare di superbikers, e il Bol d’Or equivalente alla 24 ore di Le Mans automobilistica, era l’appuntamento più prestigioso.
Prima dell’inizio della gara, con le tribune affollate di oltre centomila motards scatenati, i Goldwing schierati in duplice fila e raggruppati per gruppi nazionali preceduti dalle rispettive bandiere percorsero due giri di pista tra gli applausi della folla.
Ricordo con piacere che il nostro gruppetto e la nostra bandiera raccolsero gli applausi entusiasti soprattutto dagli irriducibili sostenitori delle bicilindriche Guzzi e Ducati ufficiali che osavano sfidare le imbattibile quattro cilindri giapponesi.
Al momento di uscire dalla pista, all’altezza della linea del traguardo sul rettilineo d’arrivo, l’ultima moto del gruppo tedesco che ci precedeva di qualche metro nel compiere una curva a 90° per imboccare il cancelletto d’uscita, a causa della bassa velocità si inclinò di colpo e si rovesciò rovinosamente travolgendo la conduttrice e la passeggera scatenando l’ilarità delle migliaia di spettatori sulle tribune.
Ritornati alla sede del raduno partecipammo alla festa del sabato sera, ricevemmo un premio speciale per la nostra partecipazione, e al termine ormai di questo insolito week-end ci ponemmo la fatidica domanda.
“E’ possibile che in Italia, per definizione il paese della moto, dove si organizzano i raduni più belli d’Europa, dove ci sono motociclisti che fanno man bassa di premi e trofei in tutte le manifestazioni moto turistiche internazionali, non esista un Gold Wing Club? Con questo interrogativo in testa tornammo a casa e dato che la stagione stava ormai volgendo al termine ci ripromettemmo di approfondire la conoscenza della galassia Goldwing l'anno successivo.
All’inizio di luglio del 1983 al raduno del Gold Wing Club svizzero a Chur ci ritrovammo in quattro, i tre dell’anno precedente più Giorgio Barbieri. Successivamente si unì a noi una coppia di Modena in viaggio di nozze che, imbattutasi casualmente nella lunga colonna di Goldwings che stavano tornado da un giro turistico, decise di passare due giorni in nostra compagnia.
In questa occasione ci rendemmo definitivamente conto delle dimensioni che stava assumendo all’estero il movimento dei Gold Wing Club: la sede del raduno era presso un centro polifunzionale della protezione civile, organizzatissimo ed efficiente, dove anche i particolari minimi erano curati alla perfezione da un numero veramente notevole di addetti.
Un episodio emblematico; nella mattinata del sabato, in previsione della sfilata delle nazioni del pomeriggio, ad ogni conduttore venne consegnato un foglietto con le disposizioni in tre lingue su come posizionarsi nel corteo, il tutto completato da uno schizzo esplicativo.
Questo particolare ci fece riflettere e ci portò alla conclusione che l’efficienza organizzativa non era dovuta solo alla pignoleria degli svizzeri, ma era una caratteristica dei circuito dei raduni Goldwing che, apprendemmo, era gestito e coordinato dalla neonata GWEF (Gold Wing European Federation) che di conseguenza sarebbe stato il nostro interlocutore qualora avessimo deciso di costituire il Gold Wing Club Italia e successivamente organizzare un raduno in Italia.
Dai primi approcci con esponenti della GWEF emerse che l’ipotesi di inserire l’Italia tra le nazioni iscritte era vista molto favorevolmente, anzi erano sorpresi che l’Italia non ne facesse ancora parte; era quindi necessario costituire il Gold Wing Club Italia che per il primo anno sarebbe stato associato in forma ufficiosa per poi accedere all’affiliazione definitiva l’anno successivo.
Riguardo la possibilità di organizzare un raduno in Italia ci fu data la disponibilità per un raduno ufficioso, non inserito nel calendario della GWEF, da effettuarsi nell’estate del 1984.
A questo punto sapevamo cosa bisognava fare: chi raccolse la patata bollente? Gianni Barbieri è stato il promotore e l’artefice in prima persona di tutto quanto si fece per raggiungere gli obiettivi prefissati: contattare il maggior numero possibile di possessori GW, reclutare i soci, costituire il Gold Wing Club Italia, curare i rapporti con la GWEF, organizzare e promuovere le prime partecipazioni del GWCI ai raduni internazionali, organizzare il 1° raduno in Italia.
Aveva le caratteristiche necessarie per riuscire in questa impresa perché abbinava ad una notevole esperienza di motociclista e di organizzatore di viaggi e di raduni una dote fondamentale per ottenere il coinvolgimento di altre persone, era un trascinatore.
Subito dopo il rientro dal raduno svizzero ci impegnammo a contattare tutti i possessori di Goldwing che incontravamo ai raduni settimanali della FMI, sondando anche il loro interesse nei confronti del progetto.
Conseguentemente si attivò un passaparola che portò nell’inverno 83/84 alla stesura di un primo elenco di una quarantina di soci; successivamente fu fondato il Gold Wing Club Italia, fu redatto uno statuto, e a raduno di Pasqua in Belgio fu presentata l’iscrizione alla GWEF.
Dopo la costituzione del club si passò alla fase successiva che consisteva nel far conoscere la nuova realtà italiana all’estero anche per pubblicizzare il 1° raduno italiano previsto ai primi di settembre al Lido di Jesolo. (Camping Malibù).
Tra gli iscritti, che già allora comprendevano diverse tipologie di personaggi (i viaggiatori esperti, i neofiti, gli esibizionisti) tutti comunque accomunati dalla passione per la Goldwing, si distinse un gruppo molto attivo che partecipò ai raduni all’estero consentendo al neo costituito GWCI di debuttare facendo bella figura: la nostra presenza fu numerosa in Francia a Ste Maries de la Mer, in Austria a Zell am See e in Inghilterra a Malvern.
All’estero fummo sempre accolti con simpatia e cordialità e nell’ambito di queste partecipazioni ai raduni internazionali si stabilirono dei rapporti di amicizia con molti stranieri che durano tuttora.
Finalmente venne anche il giorno più atteso, quello del nostro raduno, i partecipanti furono circa novanta, metà italiani e metà stranieri.
Si effettuarono delle escursioni a Venezia e in laguna, fu coniata una medaglia che riportava anche il marchio della GWEF, e tutto filò liscio,
Conclusa la stazione 1984, quella del debutto, fu organizzata una segreteria, si realizzò un logo, un aquilotto stilizato, delle magliette con l’aquilotto in sella ad un GL 1200 (nuovo modello che sostituiva la 1100) molto apprezzate all’estero: ancora oggi capita di vederle indossate da stranieri.
Si cominciò a pubblicare un notiziario dei soci.
Il punto dolente era costituito dal numero esiguo dei soci e quindi si organizzarono dei mini raduni a carattere locale, si pubblicarono annunci e trafiletti sulle riviste motociclistiche, si cominciò a coinvolgere la Honda Italia; con queste iniziative il numero degli iscritti aumentò gradualmente e anche la nostra presenza ai raduni europei si consolidò e il GWCI fu presente in tutte le classifiche per nazioni, ottenendo anche dei piazzamenti prestigiosi.
L’articolazione dei raduni della GWEF su un arco di tempo di 6 mesi, da aprile a settembre, con un raduno ogni 2/3 settimane, consentiva già allora di pianificare sia viaggi brevi nell’ambito di un week-end sia abbinamenti con le ferie per viaggi più impegnativi.
Questa ampia possibilità di scelta favorì la formazione di un gruppo di entusiasti che di volta in volta, a seconda delle proprie esigenza, sceglievano i raduni a cui partecipare.
Per fare un esempio a fine luglio del 1985 con Giorgio Barbieri mi aggregai ad un gruppo abbastanza numeroso diretto al raduno danese di Silkeborg; al termine del raduno noi due e una coppia di Livorno, diretta poi a capo nord, ci recammo in Svezia dove il successivo fine settimana era in programma un raduno nazionale svedese a Jonkoping, finito il quale ci trasferimmo a Berlino est con qualche problema nell’attraversare il famoso muro; tutto comunque andò bene e addirittura a Giorgio fu rilasciata una carta d’identità della DDR dopo essere stato prelevato e interrogato dalla polizia di frontiera della Germania est.
In seguito, una volta tornati in Germania ovest ci salutammo: Giorgio tornò a Bologna ed io mi diressi verso Shepton Mallet, un paesino a sud ovest dell’Inghilterra, sede del raduno inglese, attraversando orizzontalmente mezza Europa.
Raggiunsi la meta con una tappa sola di oltre 1500 km., con l’unica interruzione dovuta alla traversata della Manica, ed era in queste circostanze che la Goldwing dava il meglio di sé, instancabile nel mantenere medie elevate nei veloci trasferimenti autostradali e nello stesso tempo così confortevole da consentire di viaggiare per ore e ore senza soste, se non per i rifornimenti di benzina.
Inoltre si verificò un effetto di trascinamento in quei soci che non avevano esperienza di viaggi all’estero e che erano frenati da vari motivi tra cui la non conoscenza delle lingue, delle abitudini, dei cibi, ma che coinvolti nell’euforia dell’ambiente si buttarono nella mischia e spesso capitava di vedere ai raduni all’estero delle facce nuove che non facevano parte del solito gruppetto e che inevitabilmente diventavano i migliori clienti dei venditori di pezzi cromati.
Purtroppo, quando il club stava crescendo e stava allargando la base degli iscritti, localizzati prevalentemente in Lombardia, Piemonte, Liguria e Emilia, si verificarono degli incidenti di percorso che influirono negativamente sull’immagine del Club compromettendone lo sviluppo e la credulità.
Infatti nel giro di pochi mesi si verificò una serie di episodi negativi che diedero origine a polemiche, litigi e contestazioni: in occasione del Gran Premio d’Italia a Misano i Goldwing, invitati a sfilare in pista prima delle corse, furono accolti da fischi ed insulti da parte del pubblico imbestialito per il forfait all’ultimo minuto del super campione Freddy Spencer. Sulla rivista Motosprint apparve un articolo che, contrariamente a quanto concordato, non solo non promuoveva l’immagine del club, ma lo descriveva come un club di ricchi scemi.
A Riccione tutti i soci furono invitati a cena dalla Honda Italia (questo fu detto a tutti i presenti) e inspiegabilmente tra il primo ed il secondo ad ognuno fu chiesto di pagare il conto.
Come conseguenza di tutto ciò, l’entusiasmo iniziale si sostituì l’indifferenza, ci furono delle defezioni tra i soci, e anche sulle partecipazioni ai raduni all’estero si notò una netta diminuzione, infatti mi capitò di essere in alcune occasioni l’unico italiano presente.